Robert Curgenven @ Spazio O artoteca (Milano) – 12.12.2008 

Report by Gilly Sephira pics by Drex

L’artista australiano Robert Curgenven, nel corso del suo pendolarismo Berlino-Milano, ha fatto una tappa allo spazio O’ di Milano, per presentare il suo lavoro Rebirth of Tragedy (diviso in due diversi pezzi con interludio di pausa tra uno e l’altro).

Nella sala erano presenti sculture ed installazioni create da Judith Egger e Ramuntcho Matta, come The Garment of a Female Healer, The Woman Knowledge, Onion Costume, Egg Headdress e diverse fotografie in cui si potevano vedere alcune delle opere “indossate” da persone umane.
Proprio al centro invece erano posizionati, nella loro immobilità, tre cerchi di pietre al cui interno si potevano scorgere delle piccolissime casse; sospesi erano inoltre tubi di metallo.
Vista la natura della performance, l’audio è stato gestito in modo tale da circondare il pubblico, comodamente sistemato sugli stuoini di rito dello Spazio O’.
Spettacolare era la montagna di compact disc contenenti diversi fields recording e il continuo ricambio nei 5 lettori CD che Robert aveva a disposizione per creare una “gestalt” minimale, glitch, ambientale, molto reale, penetrante nel punto più alto della testa e nella fronte.

Ronzii, sibili, no beat, miscuglio di suoni piccolissimi in un ordito sempre più intricato, ma comunque ordinato come un disegno tecnico di altissimo livello.
Lo spessore delle frequenze contribuisce a variare il tratto, ora fili più sottili, ora più spessi con un suono di sottofondo che non lascia mai (o siamo noi che lo creiamo da soli?).
Visioni di natura tropicale umida, nella quale la saturazione del verde della vegetazione rigogliosa raggiunge l’apice nel momento di luce diffusa che precede il violento temporale.
La foresta porta voce di uccelli ed insetti, ma non si riesce a visualizzare nulla che si muova, fatta eccezione per le pennellate nubi nel cielo.
Volume intenso nell’attimo di pioggia, ma noi che siamo solo proiezione in questo quadro, non veniamo raggiunti dall’acqua.
L’ordito ora è fatto di acqua e più fitto dell’immaginazione non permette allo sguardo di andare oltre al sipario bagnato che costruisce; acqua di lana di vetro.
Alternanza tra luce e nubi e le nuvole ora gocciolano a mo’ di panno bagnato, mentre spunta fuori il sole – unione di acqua e luce.
Voci ibride e arrotondate cominciano a spuntare dal verde muschioso e la pioggia ancora compie il suo corso.

Interludio

Cosa può creare con dei suoni che viaggiano in una stanza da una parete all’altra?
E’ come il viaggio da un mondo all’altro, in un intrico di feedback che si incrociano nel medesimo percorso ricchi come accordi di settima.
Il suono è più rarefatto e melodico, fuoco color pastello, rumori di scoppiettio, ma in realtà nulla sta bruciando, se non nella forma.
Vibrazioni di luce artificiale nella strada notturna, sono neon contaminati, monitor in scala di grigio che parlano a frattali e a linee discontinue; tutto è intaccato da qualcosa che rende la metropoli semi-deserta. Fields recording danno prova che qualche prode autista gira ancora e chiacchiera insieme al suo gruppo di amici
Si riescono a percepire delle bolle nello spazio, come ipotesi della fisica più antica; tutto viene risolto in onde basilari, nelle mani di ampiezza e frequenza.
Luce che filtra attraverso il movimento di un’elica nera di un aereo precipitato nel suolo di un’area incontaminata – ritorno alla natura satura.
Voci.
Fonte senza mistero fatta di cristalli stridenti, loto di realtà al di là dei sensi fisici limitati; pulsazione non secca, ma dilatata, lieve, costante al pari del battito del cuore, si, ma dell’universo.

Le frequenze sempre presenti che hanno caratterizzato questa performance sembra urlassero che la vita scorre sempre, ricordandoci che non esiste solo l’involucro fisico, poiché noi ci estendiamo molto al di fuori e dentro di questo limite temporaneo.
Solo i suoni più effimeri abbandonavano il set e il corpo fisico è proprio uno di questi suoni e il resto è Onda di Vita.

O artoteca

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